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Ovvero la descensione ad inferos di Formaggino da Modena - da lui fatto stampare e distribuito nell´interno stesso del liceo, nel quale, sulle orme di Dante, satireggiava professori e compagni di scuola. Concluse così gli studi nel Liceo Muratori di Modena e si iscrisse nella Facoltà di Giurisprudenza, laureandosi con lode nel 1901 presentando la tesi La donna nella Torah in raffronto con il Manava-Dharma-Sastra. Contributo storico-giuridico a un riavvicinamento tra la Razza ariana e la semita, nella quale sostenne che ariani e semiti erano stati originariamente uno stesso popolo: confesserà molti anni dopo di aver completamente inventato quella tesi, che del resto non fu nemmeno discussa. Trasferitosi a Roma nel 1902, s´iscrisse alla Facoltà di Lettere e filosofia, seguendo le lezioni di Antonio Labriola, aderì all´associazione studentesca «Corda Fratres», vicina alle posizioni massoniche e conobbe la pedagogista Emilia Santamaria, che sposò nel 1906. Tornato l´anno dopo a Bologna, conseguì la sua seconda laurea in filosofia morale con la tesi Filosofia del ridere: ridere, afferma, rende fraternamente solidali gli uomini e l´umorismo è «la massima manifestazione del pensiero filosofico». L´attività editoriale [modifica] L´attività editoriale ebbe inizio il 31 maggio 1908 con la pubblicazione di una raccolta di sonetti di Alessandro Tassoni, La secchia rapita, e di un volume, prefato da Giovanni Pascoli, di saggi sul poeta modenese, la Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari. Unito all´amore per l´opera comica, vi era l´interesse per la filosofia, sicché seguirono pubblicazioni nelle collane della «Biblioteca di filosofia e pedagogia» e in quella degli «Opuscoli di filosofia e pedagogia», oltre a editare la «Rivista di Filosofia», che fu l´organo ufficiale della Società Filosofica Italiana del 1909 al 1918. Nel 1909 la Casa editrice Formìggini lanciò il primo numero della collana «Profili» con una monografia su Sandro Botticelli: ne seguiranno altri 128, fino al Chiabrera del 1938, «[...] graziosi volumetti elzeviriani [...] non aridi riassunti eruditi, ma vivaci, sintetiche e suggestive rievocazioni di figure attraenti e significative [...] soddisfano il più nobilmente possibile all´esigenza, caratteristica del nostro tempo, di voler molto apprendere col minimo sforzo [...]».[1] Il verso di una cartolina della serie "Cartoline Parlanti" dell´editore Formìggini Il favore riscosso dalle pubblicazioni lo convinse ad aumentare dimensioni dell´azienda e numero di iniziative: trasferito a Genova, nel 1912 creò «I Classici del ridere», che fu, secondo la sua definizione, «er mejo fico der mio bigonzo», la collezione di maggior successo, che si aprì con la Prima giornata del Decameron e proseguì con il Satyricon di Petronio e via via, col Gargantua di Rabelais, con il Gulliver, l´ Asino d´oro, l´ Heptameron di Margherita d´Angoulême. Interventista, partì ufficiale volontario per il fronte di guerra nel 1915 ma fu presto congedato. Nel 1916 trasferì nuovamente a Roma la Casa editrice, nei pressi di piazza Venezia: qui, nel 1918, ebbe un´iniziativa particolarmente moderna e originale, per il tempo, quella di segnalare le novità librarie e di tracciare profili di scrittori, fondando la «ICS», ossia «L´Italia che scrive», un periodico mensile d´informazione libraria che, nei suoi intenti, doveva occuparsi di «tutte le principali questioni inerenti alla vita del libro italiano in quanto esse sono essenziali alla vita spirituale della nazione». Contemporaneamente, costituì una biblioteca dell´umorismo, battezzata la «Casa del Ridere», raccogliendo qualunque materiale fosse attinente, dai libri alle riviste, alle stampe, ai quadri. Nel 1921 Formìggini creò l´IPCI, Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, società della quale egli fu eletto amministratore dal consiglio direttivo formato da eminenti uomini di cultura. Il Governo eresse l´IPCI, con il Regio Decreto del 21 novembre 1921, a Ente Morale e successivamente rinominato Fondazione Leonardo per la Cultura Italiana su proposta di Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione del Governo Mussolini. Il presidente del Consiglio della Fondazione, Ferdinando Martini, appoggiò il progetto di Formìggini di dar vita a una Grande Enciclopedia Italica in 18 volumi, che avrebbe rappresentato, per l´Italia d´allora, una realizzazione culturale di primo livello. Il ministro Giovanni Gentile non intese però consentire tale progetto, che aveva le sue radici in quella cultura positivistica che egli intendeva superare per affermare il suo programma di egemonia culturale neo-idealistica. Essendo l´«Italia che scrive» la pubblicazione ufficiale della Fondazione, Gentile pretese che il Consiglio direttivo controllasse direttamente il periodico: accusato l´editore di irregolarità amministrative, lo costrinse, con tutto il Consiglio, a dare le dimissioni nel febbraio del 1923 finché, nel 1925, la Fondazione fu assorbita, con tutto il suo patrimonio, dall´Istituto Nazionale Fascista di Cultura, presieduto dallo stesso Gentile. Formìggini dovette così rinunciare al suo progetto che invece, com´è noto, sarà realizzato, auspice il Gentile, da Giovanni Treccani, con la pubblicazione dell´ Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Formìggini aveva reagito già nel 1923 pubblicando La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. La ficozza, in dialetto romanesco, è il bernoccolo che spunta sulla testa in conseguenza di un colpo ricevuto: per lui, Gentile era il colpo e l´escrescenza cresciuta sulla testa del fascismo. Il libro è insieme un bilancio della sua attività, una satira anti-gentiliana e uno sfogo, ironico e amaro, per la prepotenza subita: il Formìggini resta un ammiratore di Mussolini e, se pure intravede quanto di autoritario si cela nel fascismo, si limita a osservare che «il fascismo è una gran bella cosa visto dall´alto, ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso».[2] Continuò a produrre nuove collane: nel 1923 fu la volta delle «Apologie», profili di dottrine filosofiche e religiose, nelle quali uscirono il Cattolicismo di Ernesto Buonaiuti, il Taoismo di Giuseppe Tucci, l´ Ebraismo di Dante Lattes, l´ Ateismo di Giuseppe Rensi e altri nove titoli. L´anno dopo fu la volta delle «Medaglie», monografie di personaggi contemporanei: le pubblicazioni furono travagliate, quando si affrontarono personalità sgradite al regime, come Luigi Albertini, Giovanni Amendola, Filippo Turati e Luigi Sturzo, che dovettero essere ritirate dalle librerie, fra le «Medaglie», il Mussolini di Giuseppe Prezzolini non ebbe invece problemi. Nuove collane ancora furono le «Lettere d´amore», le «Polemiche», le «Guide radio-liriche», l´«Aneddotica» e il «Chi è?», schede biografiche di noti personaggi viventi, che ebbero molto successo. Scritto da lui stesso è invece il Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani compilato da uno dei suddetti, pubblicato da Mondadori e ristampato da Formìggini in seconda edizione ampliata nel 1928. Il suicidio [modifica] La Casa editrice cominciò a declinare negli anni trenta: il bilancio tracciato nei suoi Venticinque anni dopo, pubblicati nel 1933, sembra quasi premonitore. Quando il regime, nel 1938, cominciò a preparare l´opinione pubblica in vista delle leggi razziali, dando il via alla propaganda antisemita - il 14 luglio 1938 su «Il Giornale d´Italia» esce l´articolo Il fascismo e i problemi della razza, in agosto appare il primo numero de «La difesa della razza» - anche Formìggini fu costretto a ricordare quel che sembrava aver dimenticato: di essere ebreo, lui, antisionista ed estraneo a ogni particolarismo religioso e culturale. Gli scritti di quei mesi, pubblicati nel dopoguerra col titolo di Parole in libertà, uniscono l´invettiva antifascista e antimussoliniana a ingenue esortazioni agli Ebrei di sciogliere la propria identità culturale e religiosa, in una assimilazione alla quale «si era avviati a grandissimi passi: i nuovi eventi l´hanno troncata. Ma questa non è che una pausa, che sarà più o meno lunga, dopo la quale il cammino sarà ripreso di corsa».[3] Mutò proprietà e nome della Casa editrice per evitare l´espropriazione e tentò di ottenere i benefici - che si chiamavano «discriminazioni» - previsti per gli ebrei che avessero costituito una famiglia «ariana» e fossero estranei all´ortodossia ebraica. Essendo stato tutto inutile, si preparò al suicidio, a cui pensava da mesi. Tornò a Modena, come a chiudere formalmente e simbolicamente il ciclo della propria vita e, la mattina del 29 novembre 1938 si gettò dalla Ghirlandina, la torre del Duomo, precipitando su un breve spazio di selciato che lui stesso, in una delle ultime lettere, aveva ironicamente chiesto di chiamare, in suo ricordo, al tvajol ed Furmajin, il tovagliolo di Formaggino, in dialetto modenese: una lapide così intitolata oggi lo ricorda. Ai giornali fu imposto il silenzio. L´unico commento di regime che ci è conservato è la battuta del segretario del Partito fascista, Achille Starace: «È morto proprio come un ebreo: si è butta ...